martedì 25 dicembre 2012

21.12.12: la fine del mondo Maya: tra 'scienza e religione'?

Ormai da diverso tempo in tutto il mondo la data del 21 dicembre 2012 era ben nota come la 'fine del mondo' secondo il calendario Maya e sembra che non pochi ci avessero creduto o almeno si fossero fermati a pensarci... Qualcuno soltanto andando ad una festa, altri comprando una casa o andando a rifugiarsi in uno dei pochi paesi dove la fine del mondo non sarebbe arrivata (in Italia ad esempio nel paese dei trulli, Alberobello in Puglia) e altri ancora facendosi costruire addirittura un bunker...

Al di là del business che la profezia Maya ha sicuramente fatto fiorire, in realtà non si è trattato di niente di nuovo sotto il sole, tranne il fatto che questa volta si ha la nota esotica Maya: in passato l'ansia per la fine del mondo aveva già attraversato il primo millennio (con il noto detto "mille e non più mille") e anche il nostro secondo millennio (il timore del "millennium bug") o le diverse profezie di Nostradamus o ancora il pericolo costante di asteroidi e comete che potrebbero cadere sulla Terra.

Per chi non lo sapesse c'è un pericolo più reale all'orizzonte: l'asteroide Apophis (nome di un dio egizio che significa "il distruttore"), scoperto nel 2004, potrebbe 'cascare' sulla Terra nel 2029, ma, in generale, pare che siano più di 400 i corpi che, secondo la Nasa, potrebbero colpire la Terra nei prossimi 100 anni. Quindi, ci saranno molte altre occasioni per prepararsi alle altre possibili "fini del mondo".

Al di là dei dettagli sui calendari Maya, è importante cercare di capire come mai un simile notizia abbia ottenuto questo grande successo di pubblico, fino a coinvolgere alcuni in modo non superficiale.
Non si trattava, infatti, né di una previsione scientifica (basata su dati storici o empirici), né di un evento di matrice religiosa. E allora, su quale base si fondava?
Come ormai è stato ampiamente dimostrato, il calendario Maya in cui appare questa data è soltanto uno dei vari esistenti. Un altro, recentemente scoperto, non porta questa data. Inoltre, com'è noto, i calendari di per sé non prevedono il futuro, né l'accadere degli eventi: questa è un'interpretazione dei calendari che tra l'altro è stata smentita ufficialmente da studiosi della civiltà Maya. Ad esempio, è stato spiegato come il tempo ciclico non aveva termine, ma appunto era ciclico: il 21 dicembre 2012 starebbe quindi casomai ad indicare la fine del ciclo e l'inizio di un altro, non certo la fine del mondo.
Può essere quindi interessante vedere questo video proposto da Piero Angela nell'ambito del programma SuperQuark:


Dal punto di vista scientifico, per smentire la validità della profezia Maya e la varie ipotesi di catastrofi che sono state elaborate - come l'inversione dei poli, il pianeta Nibiru o il pianeta X, le conseguenze nefaste dell'allineamento dei pianeti - molti scienziati sono scesi in campo, e senz'altro può essere molto interessante leggere le risposte che David Morrison, senior scientist del NAI (NASA Astrobiology Institute), ha dato nel blog Ask an Astrobiologist ("Chiedi ad un astrobiologo") disponibile anche in traduzione italiana.

Dal punto di vista religioso, nella fede cristiana si parla naturalmente della fine del mondo, del giudizio universale e in particolare dell'Apocalisse, ma non bisogna confondere i piani. La fine del mondo è qualcosa che riguarda il singolo e la storia della sua vita personale, per cui si può dire che in primis la fine del mondo sia la fine della sua vita terrena, dopo la quale si aprirà la vita eterna. Di per sé, la fine del mondo nella prospettiva cristiana non è qualcosa da temere o da cui scappare per salvarsi: anzi, al contrario, chi ama Dio lo aspetta e non vede l'ora d'incontrarlo perché sa che la sua vita e quella del mondo non è quella 'vera', ma è solo una prima fase, transitoria e irta di difficoltà, che ha lo scopo di preparare la seconda fase, la vita immortale.

La base del successo della profezia Maya è, in un certo qual modo, mitica e irrazionale e legata anche a interpretazioni cabalistiche. L'uomo del XXI secolo dimostra, in questo caso, di non essere così secolarizzato e 'disilluso', ma semmai che, forse, senza solidi fondamenti - che siano la fede religiosa o altre convinzioni o credenze - è ancora più smarrito. In questo modo diventa facilmente 'preda' di qualsiasi inganno o, peggio, di chi, 'travestendosi' da capo religioso, da santone o da mago, in realtà vuole irretire le persone, mirando a coinvolgerle sul piano fisico-mentale e talvolta mirando anche anche ad un guadagno economico.

Questo è il rischio che si manifesta quando la ragione e la fede vengono negate o rifiutate: l'uomo non può condurre una vita senza alcun principio in cui credere, che guidi la sua vita dandole un senso e una speranza. Senza ragione né fede l'uomo è debole, cade in una forma di scetticismo e agnosticismo in cui regna il 'non sapere', da un parte, e, dall'altra, la vanità, la superficialità, l'egoismo e l'edonismo, che però rimangono senza sbocco. L'uomo, ridotto in questo stato, è estremamente solo, pronto a cadere nella rete di chi gli propone o gli presenta una via o un fine a cui guardare o a cui credere, che fa riemergere il suo anelito all'infinito e a qualcosa che trascende se stesso ma che rischia di condurlo completamente fuori strada, come accade sovente con i movimenti sorti nell'ambito del New Age.

domenica 9 dicembre 2012

Quando la fantascienza provoca la teologia: gli extraterrestri sono stati salvati da Gesù Cristo?


E' notizia assai recente la pubblicazione del libro di Armin Kreiner, professore di teologia fondamentale alla Ludwig Maximilians-Universität di Monaco, intitolato Gesù, gli Ufo e gli alieni. L'intelligenza extraterreste come sfida alla teologia cristiana, pubblicato da Queriniana, in cui l'autore si chiede cosa potrebbe dire la teologia cristiana se un domani si scoprisse una civiltà di essere extraterrestri intelligenti in qualche angolo della nostra galassia o dell'universo. 
Ammettendo che questa ipotesi sia possibile, come l'autore ritiene che sia, il problema verte sulla figura di Gesù Cristo e sulla sua incarnazione, avvenuta una sola volta storicamente e con un valore salvifico è "unico" e universale per tutti gli uomini e per tutto il creato, per tutto il cosmo. 
Gli extraterrestri sarebbero comunque stati salvati da Gesù Cristo, come parte del creato? E che ruolo avrebbero e che posizione occuperebbero tra gli essere viventi, accanto all'uomo o nel regno animale? Ma la redenzione dell'uomo operata da Gesù Cristo - che ha assunto la "natura umana" apposta per 'ribaltare' quanto fatto da un altro uomo, Adamo, ossia per cancellare il peccato originale di cui l'uomo si è macchiato - come andrebbe vista "in ottica extraterrestre"?

Armin Kreiner
E' evidente che la questione in gioco è tanto delicata quanto profonda: un proposta è data dallo stesso Kreiner, sulla base delle dottrine teologiche elaborate da San Bonavenuta e Duns Scoto che vedono l'incarnazione di Gesù Cristo in chiave cosmica, senza un riferimento al peccato umano originale.
Come spiegato da Andrea Aguti, autore dell'introduzione all'edizione italiana del libro, secondo questa visione Dio
avrebbe potuto agire in modo simile su altri mondi possibili, in forme diverse da quanto avvenuto per noi 'terrestri' su questo nostro piccolo pianeta Terra del sistema solare. Sarebbe dunque da collocare il discorso su un piano diverso, quello proprio della filosofia e della teologia delle religioni, ponendo a confronto popoli diversi e sconosciuti e le loro religioni. 
Ma, come ha spiegato a questo riguardo il Cardinale Gianfranco Ravasi "in questa linea l'Incarnazione diverrebbe non più una realtà storica singolare, ma si sfrangerebbe in tante epifanie quante sono le eventuali umanità disperse nell'universo o nel mulitiverso astrofisico". Senza andare oltre con quanto la fantascienza può suggerire e con quanto si può elaborare con una "fantateologia" - anche se una certa riflessione, anche teologica, è stata anche elaborata nel corso del '900 non disdegnando di toccare alcuni punti caldi - questo è un esempio di come la scienza può provocare la religione con le scoperte e le prospettive che può aprire, spingendola così ad approfondire la ricerca teologica e a continuare la riflessione e lo studio della Rivelazione parallelamente a quanto ancora si scopre e si comprende del mondo della natura. 

Nel 1988, Giovanni Paolo II in una nota lettera a Padre George Coyne, allora Direttore della Specola Vaticana, aveva scritto: "Gli sviluppi odierni della scienza provocano la teologia molto più profondamente di quanto fece nel XIII secolo l'introduzione di Aristotele nell'Europa occidentale. Inoltre questi sviluppi offrono alla teologia una risorsa potenziale importante. Proprio come la filosofia aristotelica, per il tramite di eminenti studiosi come san Tommaso d'Aquino, riuscì finalmente a dar forma ad alcune delle più profonde espressioni della dottrina teologica, perché non potremmo sperare che le scienze di oggi, unitamente a tutte le forme del sapere umano, possano corroborare e dar forma a quelle parti della teologia riguardanti i rapporti tra natura, umanità e Dio?".

Mi pare però che sia importante sottolineare - d'accordo con quanto detto dal teologo Giuseppe Tanzella-Nitti  che, commentando questo argomento, ha invitato ad utilizzare una corretta epistemologia scientifica e teologica allo stesso tempo - che non a tutte le domande o le ipotesi (o "provocazioni") poste dalla scienza o da qualche studioso, la teologia deve sentirsi chiamata in causa e soprattutto obbligata a dare un risposta.

Di norma, è già molto difficile ragionare sulle ipotesi o le probabilità e non si può fare altro che proporre altre ipotesi o al più delle previsioni e provare a disegnare soltanto diversi scenari possibili. Ma in teologia, e in particolare affrontando temi di questa natura, il discorso è ancora più arduo perché la Rivelazione è stata 'donata' all'uomo in questa forma e con determinate caratteristiche e pertanto non si presta ad essere aperta a cambiamenti o interpretazioni basate su altre "scale" da noi inventate o basate su eventualità molto distanti dall'attuale realtà.  Al momento, e forse al contrario di quello che alcuni potrebbero pensare, è bene che la teologia resti ben salda con i piedi per terra, senza spaziare al di fuori di quanto le compete, e continuare a credere nella redenzione  operata da Gesù Cristo come evento unico e universale, senza  per questo pensare o poter affermare in nessun modo che qualcuno ne sia stato escluso o non ne possa comunque partecipare in altri modi.  

mercoledì 5 dicembre 2012

Grazie a Murray, donare un organo per il trapianto è un gesto eroico secondo il Vangelo della Vita

Joseph Edward Murray
(1919-2012)
E' notizia di pochi giorni fa la scomparsa del medico chirurgo statunitense Joseph Edward Murray (Milford, Massachussets, 1919), avvenuta per un ictus all'età di 93 anni a Boston lo scorso 26 novembre. 
Premio Nobel nel 1990, Murray è stato il pioniere dei trapiantiil primo ad effettuarne uno con successo tra due gemelli di 23 anni, uno gravemente malato di cancro al rene e l'altro donatore, nel 1954. Il malato riuscì a vivere per 8 anni, il donatore fino a 79. 
Negli anni '60, Murray scoprì i farmaci anti-rigetto, in particolare l'azatioprina, e iniziò così a fare i trapianti tra non parenti. Dopo oltre mezzo secolo, i trapianti di organi oggi sono una realtà - quasi una routine - e in ogni ospedale ci sono liste di attesa che, a volte, richiedono al paziente anni di speranza, ma che possono davvero costituire la fine di una grande sofferenza e l'inizio di una nuova vita. Per questa ragione, le campagne di sensibilizzazione per la donazione degli organi sono molto importanti, perché ancora una certa parte dell'opinione pubblica teme le modalità dell'espianto degli organi, ossia che si acceleri la dichiarazione di morte di una persona per poter prelevare gli organi ex cadavere il prima possibile. 


Perplessità e dubbi di natura etica animavano lo stesso Murray, cattolico praticante (e membro della Pontificia Accademia delle Scienze dal 1996) che, prima di programmare il primo trapianto, aveva chiesto pareri e consigli a religiosi. Anche la Chiesa ha da tempo ben presente i problemi di carattere medico-etico tanto che nel Catechismo è scritto "il trapianto di organi è conforme alla legge morale se i danni e i rischi fisici e psichici in cui incorre il donatore sono proporzionati al bene che si cerca per il destinatario. [...] Non è moralmente accettabile se il donatore o i suoi aventi diritto non vi hanno dato il loro esplicito consenso. È inoltre moralmente inammissibile provocare direttamente la mutilazione invalidante o la morte di un essere umano, sia pure per ritardare il decesso di altre persone" (n. 2296).
La Chiesa si è espressa chiaramente e in diverse occasioni a favore di questa conquista della medicina moderna; ad esempio, Giovanni Paolo II nel 1991, in occasione di un discorso ad un congresso sui trapianti d'organi, disse che "dobbiamo rallegrarci che la medicina nel suo servizio alla vita, abbia trovato nel trapianto di organi un nuovo modo di servire la famiglia umana, e proprio tutelando quel bene fondamentale della persona".
Nell'enciclica Evangelium Vitae si legge ancora che i gesti eroici sono "la celebrazione più solenne del Vangelo della vita, perché lo proclamano con il dono totale di sé; sono la manifestazione luminosa del grado più elevato di amore, che è dare la vita per la persona amata" e che "merita particolare apprezzamento la donazione di organi compiuta in forme eticamente accettabili, per offrire una possibilità di salute e perfino di vita a malati talvolta privi di speranza" n. 86).

Naturalmente è importante che la donazione degli organi rispetti la vita, sia del donatore sia del malato; donare un organo è infatti un atto di amore e, se non è un atto libero della persona - e quindi risultato di una scelta della volontà umana -, non può essere tale. L'amore non può essere infatti 'obbligato' o 'forzato', altrimenti non è più amore. Il donatore deve essere informato e scegliere liberamente, così come devono farlo i parenti eventualmente coinvolti: la donazione è scelta etica perché, citando un altro discorso di Giovanni Paolo II al congresso internazionale dei trapianti nel 2000, consiste nella "decisione di offrire, senza ricompensa, una parte del proprio corpo per la salute ed il benessere di un'altra persona".
Dunque, se ben orientata  e condotta secondo i giusti principi etici, la scienza, e in questo caso la medicina in particolare, può offrire alla religione la possibilità di esprimersi efficacemente, dimostrando con opere concrete a cosa può portare la fede e l'amore per il prossimo, chiunque egli sia, anche uno sconosciuto. La scienza si rivela quindi come meraviglioso strumento a favore della vita dell'uomo e dell'amore e della solidarietà fra gli uomini e, a sua volta, riceve il suo pieno significato proprio nell'assumere un valore che la trascende elevandola ad un piano soprannaturale.